Storia di Chiara – Dicembre 2017

La storia di Chiara Sala e di un viaggio

“Funga mkanda wa kiti chako wakati umekaa – allacciare le cinture di sicurezza quando si è seduti”. Questa la scritta sul sedile di fronte a me, sul piccolo aereo, che da Nairobi mi ha portato all’aeroporto del Kilimamgiaro. Viaggio da sola, sotto di me una distesa di suolo giallo con le tipiche Acacie e nel cuore una sola sensazione: sono in Africa! Un viaggio che porterò con me per sempre. Anzi più di un viaggio, un’esperienza, a tratti un’avventura, che ogni persona dovrebbe fare almeno una volta nella vita. Mi chiamo Chiara, sono nata e cresciuta a Monza ed era dal tempo delle elementari che sognavo l’Africa. Ho dovuto aspettare la maggiore età, un lavoro in un centro commerciale e l’associazione Onlus milanese Year Out per realizzare il mio progetto. Volevo qualcosa che mi avrebbe permesso di conoscere un’altra cultura, altri modi di vivere, e perché no, di aiutare gli altri, facendo qualcosa che mi rimanesse nella vita. Volevo un progetto da seguire integralmente. Tra quelli proposti dall’associazione c’è quello con il partner Ethical Encounters in terra masai nel nord est della Tanzania, vicino al confine con il Kenya. Il mio compito sarebbe stato quello di insegnare inglese nel piccolo pre-scuola del villaggio, dove i bimbi non hanno né banco né libri. Un’insegnante, Ana, insegna loro la lingua Swahili, ma è importante i piccoli possano entrare in contatto anche col mondo esterno. Era quello che volevo. Ho raccolto tutte le ferie possibili e il 03 Settembre sono atterrata all’Aeroporto Internazionale del Kilimangiaro, dove è venuto a prendermi Amani, uomo masai che è stato il mio referente e la mia ombra per tutto il tempo che sono stata in Tanzania. Siamo andati al villaggio che si trova a Monduli Juu, un distretto situato su un altipiano di 1800 metri. Arrivati sul posto, a parte un prete croato che vive su una collina a venti minuti di distanza, sono l’unica bianca. I Masai sono un popolo antico che ha mantenuto intatti usi e tradizioni, perlopiù dediti alla pastorizia e per fortuna ancora poco “corrotti” dalla globalizzazione. Sono molto curiosi e gentili e al mercato, accompagnata dall’onnipresente Amani, continuano a chiamarmi “Musungu! Musungu! Musungu Masai!” (Masai bianca). E’ strano a dirsi, ma la vita estremamente semplice del villaggio ha riempito le mie giornate con una tale intensità da non accorgermi del tempo che passava. Alle sette del mattino mi alzavo, ma il villaggio era già in piena attività dalle sei del mattino. Nel dormiveglia mi giungevano suoni e versi degli animali che per i Masai sono fonte di cibo e allo stesso tempo esseri viventi degni di rispetto. Caprette, galline, asini e vitelli gironzolano liberi insieme ai bimbi e fanno parte del quotidiano di ciascuno. Nel villaggio tutti fanno qualcosa, i bimbi più grandicelli danno una mano agli adulti portando gli animali al pascolo, i più piccoli restano al villaggio prendendosi cura dei fratellini e sorelline. Al villaggio ho avuto modo di giocare con Beni e Violet, due bimbi meravigliosi e mi sono presa cura di Sharon di cinque mesi, figlia di Amani. Nella tribù ho trovato una grande unione, sia tra le persone appartenenti allo stesso gruppo, sia con la natura circostante. Come se i Masai avessero un legame che, indipendentemente dalla famiglia in senso stretto, li tiene uniti come comunità. Sono poco interessati a ciò che accade nel mondo, se hanno un problema lo risolvono da soli, senza l’aiuto della polizia o dei medici. Gli anziani della tribù sono tenuti in grande considerazione da tutti e per le decisioni che riguardano la comunità sono sempre consultati e ascoltati. Nonostante i pro e i contro di ogni cultura, dovremmo imparare qualcosa sul senso di comunità dei Masai, in una società come la nostra dove l’individuo è al centro di tutto. E per tornare alla mia esperienza ed essere realistici,  la casa che mi hanno assegnato è una capanna. La più bella del villaggio, certo, ma pur sempre di legno e fango, con tetto in lamiera (le altre hanno il tetto di paglia). Non c’è elettricità, né acqua corrente e per bere compro le bottigliette al mercato. I Masai invece la prendono da delle pozze naturali nel terreno, dove l’acqua è torbida e terrosa. Per un mese mi sono lavata in un secchio. Amani nella sua capanna ha la bombola a gas, ma le altre sono piene di fumo perché per cucinare usano ancora i carboni. Ho fatto un po’ di tutto. Sono andata al mercato con i secchi di iuta pieni di mais e sono tornata con la farina. Ho selezionato i fagioli buoni da quelli cattivi, ho trasportato venti litri d’acqua sulla schiena, ho cucinato e tagliato verdure con le donne masai, ho lavato panni, fatto braccialetti, provato a mungere una mucca e ho assaggiato la canna da zucchero. Ho mangiato carne di capretto cotta al momento da un piatto comune in un posto per soli uomini, Amani non mi ha lasciato mai sola. Con lui ho fatto lunghe camminate, ho visto le scimmie e sono andata in motoretta nella Rift-Valley, una grande depressione geologica formatasi milioni di anni fa. Qui sembra che il tempo si sia fermato, ho visto i guerrieri Morani, protettori della comunità, con la lancia in mano e le donne e i bambini mi guardavano come se vedessero per la prima volta un bianco, e probabilmente era così. Dopo alcuni giorni ho iniziato l’esperienza a scuola con circa 30 bambini dai quattro ai sette anni. Per loro non è sempre facile raggiungere la scuola da soli. Può essere pericoloso cadere nelle spaccature del terreno durante le mattinate di nebbia o durante la stagione delle piogge. Per questo i fondi raccolti servono nella realizzazione di una scuola più vicina e accessibile. Ho scoperto in me una grande motivazione che non sospettavo di avere e insegnare mi è piaciuto e mi ha dato grandi soddisfazioni. Ho un ricordo particolarmente caro che mi farà compagnia in futuro. Da una capanna di legno, ho intravisto un focolare circondato da sette ciocchi di legno sui quali sedeva un’intera famiglia. La mamma cucinava in un grosso tegame e tutti intonavano una canzone dal sapore ancestrale che sembrava legasse quella famiglia ad antiche tradizioni e alla natura circostante. Ho alzato gli occhi e sopra di me la Via Lattea mi ha offerto il più bello e luminoso cielo stellato che abbia mai potuto vedere. Il mio viaggio ha seguito un itinerario fisico e spirituale che mi ha permesso di conoscere delle persone fantastiche che mi hanno insegnato tantissimo, sicuramente più di quanto ho dato loro. Spero che altra gente possa e voglia vivere questa meravigliosa esperienza. I Masai hanno bisogno di acqua potabile, di medicine, di istruzione e spero di poterli aiutare ancora. Oltre alla voglia e conferma di voler continuare a viaggiare, porterò con me il ricordo delle risate con le donne, le lunghe chiacchierate durante la cena, il tempo passato all’aria aperta e soprattutto la loro forza e la loro fierezza e quella vita semplice che riusciva comunque a riempire e dare un senso alle mie giornate.Storia di Chiara - Dicembre 2017

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