Libro: “Maria. Nata per la libertà” di Amalia Frontali

Avevo Due Paure,

La prima era quella di uccidere

La seconda era quella di morire.

( Giuseppe Colzani)

Apro con questi versi meravigliosi di Giuseppe Colzani, partigiano dell’Ospedale Niguarda, che in pochi versi riesce a cogliere tutto l’orrore e la profonda ferita che la guerra civile italiana ha portato negli animi delle persone.

Anche il libro di Amalia Frontali sceglie questi versi per iniziare il racconto di Maria Peron, infermiera milanese di Niguarda, datasi alla macchia nel 1944 per sfuggire all’arresto e riparata in Val d’Ossola dove cura e presta aiuto alle brigate partigiane di montagna.

Ho sentito parlare di questo libro da un’amica che però, non avendolo ancora letto, non sapeva darmi ragguagli. Ho accolto quindi il consiglio di seconda mano e sono andata a sbirciare le prime pagine. Sono rimasta letteralmente incollata alla storia. Maria dalle prime righe mi ha preso per mano e trascinato con lei dal ciglio in un cornicione dell’ospedale milanese dove lavorava fino agli scalcagnati sedili di legno della terza classe di un treno per le valle e poi su di corsa verso le montagne della Val d’Ossola.
Sono sincera pensavo all’inizio ad un romanzo ma, man a mano, che mi addentravo nella lettura ho capito che Maria è, anzi è stata, davvero una partigiana e che ha prestato servizio presso la 85ª Brigata Garibaldi “Valgrande Martire”.
Sul web e nella dettagliata bibliografia, così come nelle note, ci sono tutti i riferimenti necessari per comprendere e approfondire. Sul web ci sono delle foto di Maria e Laurenti veramente bellissime.

Uno dei capitoli si intitola “Da che parte stare” e credo che l’autrice sia riuscita a restituire in maniera  profonda la crisi delle coscienze che colpiva chi per liberarsi dal nemico, i tedeschi, e dagli oppressori fascisti, era costretto a sparare. La guerra civile è di tutte le guerre la forma più insensata, quella che oltre le ferite, i morti, le atrocità si porta dietro anche la violenza verso i propri fratelli, conoscenti e concittadini. C’è stato un momento nel quale gli italiani hanno dovuto scegliere da che parte stare. I ribelli del nord contro il fascismo hanno scelto di essere partigiani ed è grazie a loro, alle loro battaglie, al loro coraggio che il nostro paese è stato liberato dai fascisti e da nazisti. Mentre le forze alleate risalivano la penisola, dalle montagne, da qualsiasi tipo di rifugio possibile, i partigiani sfiancavano e combattevano il nemico.

Maria è infermiera, Maria non spara, non vuol sparare ma la guerra non fa sconti a nessuno ed è grazie all’aiuto di Laurenti che riesce a fuggire da una ronda fascista dalla quale era stata riconosciuta. Sulla sua testa pendeva una taglia, come infermiera era considerata anche più preziosa di un capo partigiano. Lei era capace di curare e assistere i feriti e i malati, all’occorrenza anche di procedere a operazioni chirurgiche d’urgenza.
Vi sorprenderà la tempra di questa donna, il coraggio, la resistenza fisica che probabilmente neanche lei sapeva di avere, la capacità organizzativa. Un’infermeria su un alpeggio in assoluta emergenza che riesce a curare persone non è cosa da poco.

Non vi dico di più perché vorrei che leggeste il libro. Maria vi sorprenderà e l’amerete sin dalle prime righe. Ho avuto un debole per questa ragazza (nel 1944 aveva 30 anni ed era già considerata donna adulta) , in gran forma fisica ( che meraviglia finalmente una protagonista che non sia filiforme) che nonostante tutto sceglie la sua strada e cerca nel bene, nel male di percorrerla. Maturerà molto Maria, troverà l’amore e ce la farà ad andare avanti.
Vorrei tanto che la sua lezione di vita potesse arrivare a tutti coloro che non sanno o non vogliono sapere cosa sia stato il fascismo nel nostro paese. Vorrei che la scelta di Maria fosse d’esempio. Ancora oggi ci troviamo a combattere contro violenze che si ispirano al fascismo e ancora oggi dobbiamo, ahimè, continuare a fare la scelta di essere dall’altra parte, la parte della libertà e del rispetto di tutti.
Buona Lettura

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Storia di Nadia Temperini – La vita è una giostra – Dicembre 2019

La storia di Nadia emoziona e ci rende migliori oltre a infondere grande coraggio. Sul nr. 51 di Confidenze in edicola il 10 Dicembre 2019. BUONA LETTURA

La vita è come una giostra - Nadia Temperini - Dicembre 2019_Pagina_1 La vita è come una giostra - Nadia Temperini - Dicembre 2019_Pagina_2 La vita è come una giostra - Nadia Temperini - Dicembre 2019_Pagina_3

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Storia di Simona – Il tempo dell’attesa – Gennaio 2019

La storia più apprezzata della settimana su Facebook  è “Il tempo dell’attesa ” pubblicata sul n. 2 di Confidenze.

La trovate a questo link : BLOG CONFIDENZE

Im tempo dell'attesa - Gennaio 2019 - pag. 1 Im tempo dell'attesa - Pag.2 Gennaio 2019

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Storia di Laura e Cherry – Unica e per sempre mia – Novembre 2018

La storia più apprezzata della settimana su Facebook  è “Unica e per sempre mia Cherry” pubblicata sul n. 46 di Confidenze.

La trovate a questo link : BLOG CONFIDENZE

Storia di Laura e Cherry - Novembre 2018_Pagina_1 Storia di Laura e Cherry - Novembre 2018_Pagina_2

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In Polonia agli Europei 2012 – IO e Andrea – Agosto 2018

Storia di Giovanna - Viaggio in Polonia -Europei 2012 Agosto 2018_Pagina_1 Storia di Giovanna - Viaggio in Polonia -Europei 2012 Agosto 2018_Pagina_2

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Libri: Il lettore di Bernhard Schlink

Grazie a un consiglio di lettura di Tiziana Pasetti per Confidenze ho incontrato “Il lettore” di Schlink. E’ stato un colpo di fulmine. Inaspettato e violento, toccante e disturbante. Tutto allo stesso tempo.
La storia tra un ragazzino e una donna matura negli anni ’50 in Germania si intreccia con i conti che le generazioni tedesche post seconda guerra mondiale hanno dovuto fare con il nazismo. Ci sono tanti nodi in questo libro e non si sciolgono. Non possono sciogliersi. Accettare il crimine della Shoah non è possibile. Si può e si deve sapere, ma non c’è modo di trovare una qualsiasi forma di riscatto, neanche dopo anni. Coloro che da dentro vissero il Nazismo potevano fare qualcosa? Potevano reagire? Essere anche solo spettatori di quanto è accaduto significa essere conniventi? E se poi si è partecipato all’Olocausto in maniera attiva? Si è colpevoli lo stesso anche se si sono eseguiti degli ordini? L’accettazione passiva è perdonabile o solo comprensibile? Le altre mille domande che scaturiscano dalle domande precedenti, secondo me, non hanno e non avranno risposta. La Banalità del male di Hannah Arendt è l’unico approccio possibile , ma non è una risposta.

E poi dopo tutto o tra tutto o anzi sopra tutto c’è l’amore. Non cercato, incestuoso quasi, spavaldo e al di sopra anche della cattiveria umana. L’amore come elevazione da tutto ciò che di brutto, perfino mostruoso, c’è in ogni essere umano.
E sull’amore l’unico quesito possibile o forse l’unica certezza … Non scegliamo mai di chi innamorarci

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Storia di Gabriella- Il segreto – Luglio 2018

Storia di Gabiella - Luglio 2018_Pagina_1 Storia di Gabiella - Luglio 2018_Pagina_2

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La bicicletta, storia di Saba – Novembre 2017

Storia di Saba - Confidenze Novembre 2017_Pagina_1 Storia di Saba - Confidenze Novembre 2017_Pagina_2

 

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Storia di Lena – Agosto 2017

Storia di Lena - Agosto 2017

 

Ho trentotto anni e ho avuto nella mia vita tre cognomi diversi. Il cognome è un qualcosa che definisce l’appartenenza a una famiglia, che dice quali sono le tue origini, da dove arrivi. Queste cose quando si è ragazzi hanno poca importanza, almeno per me è stato così, poi però crescendo assumono valore e col tempo ho capito che il cognome giusto rappresenta esattamente quello che sono stata e quello che voglio essere in futuro. La storia dei miei cognomi si intreccia con la storia della mia mamma. E inizierei con le parole che lei mi ripeteva spesso: “Lena, la felicità arriva se fai le scelte giuste per te.” Qualsiasi cosa dovessi fare, lei era pronta a sostenermi purché fossi felice. Se mi concentro sento ancora la sua voce: “Lena non ti far influenzare dagli altri, fai quello che ti fa star bene.” Mia mamma era fatta così, era figlia degli anni settanta e aveva vissuto appieno i suoi tempi, sosteneva che l’armonia e la pace con se stessi donassero la gioia. E viveva di conseguenza, non litigava mai con nessuno e sorrideva sempre, anche nei momenti in cui le cose non andavano proprio nel verso giusto. Quando scoprì di aspettare me, scoprì anche che mio padre era già sposato, ma come mi ha sempre raccontato era così felice di avermi che nulla avrebbe potuto guastare una gioia così grande. Io arrivai e lei si trasferì in un monolocale appena fuori Modena. Era l’unica casa che si poteva permettere immagino, ma lei diceva che una casa così piccola era la scusa per stare sempre vicine. La mia infanzia e la mia adolescenza sono state dolci. Mia mamma c’era sempre e mi lasciava libera di fare le mie scelte in libertà. Le mie amiche non facevano altro che inveire contro i genitori che non le lasciavano vivere, mentre  io non avevo di questi problemi. Con mamma parlavamo di tutto e quando le chiesi di mio padre, mi raccontò della sua relazione con Pietro e che se avessi voluto avrei potuto conoscerlo. Mio padre biologico non mi aveva riconosciuto alla nascita, ma mi seguiva da lontano attraverso le informazione che lei gli dava. L’incontro fu imbarazzante, ma piano piano iniziai a conoscere quell’estraneo e devo dire che col tempo compresi di più la scelta di mia madre. Mio padre poteva essere simpatico e anche affascinante, quando ci si metteva. Quando ho compiuto diciotto anni, il suo regalo è stato quello di riconoscermi ufficialmente e darmi il suo cognome. Ne avevo discusso a lungo con mamma e come sempre lei aveva detto che potevo fare come volevo, per lei non c’erano problemi. Diceva che io sarei stata sempre sua figlia indipendentemente da come mi chiamassi. E lo credevo anch’io. Mi sembrava che avere un cognome piuttosto che un altro non facesse molta differenza, a parte il fatto di essere sollevata dal dover spiegare, di tanto in tanto, a qualche impiegato troppo zelante o solamente pettegolo, che non ero stata riconosciuta alla nascita.  Preso il cognome di mio padre, non cambio nei fatti nulla, i rapporti con lui restarono sporadici. Lui aveva la sua famiglia che adesso sapeva della mia esistenza, ma la mia vita continuò ad andare avanti allo stesso modo. Scelsi l’università per diventare infermiera e gli anni successivi mi dedicai anima e corpo allo studio. Mamma era orgogliosa di me come se avessi dovuto prendere il Nobel in medicina piuttosto che una semplice laurea e mi sosteneva su tutto. Quando si apprestava qualche esame importante dormiva meno di me e studiavamo insieme. Io le ripetevo le noiose nozioni di macrobiologia e lei ascoltava instancabile e con un sorriso solare stampato sul viso alla luce del quale era impossibile scoraggiarsi. Mamma era il mio sole. Quando le ho presentato Alberto, dopo alcuni ragazzi non proprio ideali, è saltata su e lo ha abbracciato felice, dicendoci chiaramente che le nostre auree erano evidentemente destinate ad essere unite per sempre. Ogni tanto, quando litighiamo e poi facciamo pace, io e Alberto ci ricordiamo di quel primo incontro con mamma e ridiamo. Lei era riuscita a vedere che saremmo stati bene insieme, qualcosa che noi abbiamo realizzato solo col tempo perché all’inizio tutta questa sicurezza non ce l’avevamo mica. Iniziando il lavoro in ospedale mi ero abituata a portare il cognome di mio padre. Tutti mi chiamavano solo con quello, dai dottori alla caposala fino ai colleghi, e così ci avevo fatto l’orecchio. A dire il vero, sSentivo sempre come un leggero disagio dentro di me quando mi chiamavano, come se non mi riconoscessi proprio al centro per cento, ma le cose da fare giornaliere erano sempre tante e le voci interiori, a volte, sono così flebili che si fa piuttosto in fretta a metterle a tacere o a fare finta di non averle sentite. Passarono alcuni anni e la relazione con Alberto si fece seria, così andammo a vivere insieme. L’anno dopo a mia mamma venne diagnosticato un brutto male al seno. La diagnosi era infausta e nonostante abbia lottato come una leonessa, nel giro di breve è volata via. Perdere mia mamma è stato un dolore assoluto, per me ha significato perdere tutta la mia famiglia. Per mesi interi sono stata intontita dalla disperazione, mi sentiva sola al mondo e senza sostegni. Poi, piano piano Alberto è riuscito a strapparmi qualche sorriso e un po’ di luce è tornata. Quando ho scoperto di aspettare Gaia, lui mi ha detto che la mia mamma ovunque fosse adesso avrebbe voluto che io non piangessi più perché questo poteva far soffrire la piccola in arrivo. Ed era vero. Allora ho voluto ricordare la mia mamma com’era quando era con me e la via della maternità è stata facile. Anche se lei non era fisicamente presente, sapevo che in qualche modo mi seguiva e l’eredità d’amore e di speranza che mi aveva donato negli anni insieme non me l’avrebbe tolta mai nessuno perché era parte di me. Avevo solo un cruccio che lentamente si andava insinuando dentro di me e cresceva: mi sembrava di averle fatto un torto rinunciando al suo cognome per accettare quello di mi padre. E’ vero ne avevamo discusso ma non avevo la maturità giusta per capire quanto avesse potuto cambiarmi la vita una cosa del genere. Io mi riconoscevo col cognome di mamma, era quello che rappresentava me e la mia idea di famiglia. Con mio padre una tale comunione d’anima io non la sentivo e né avrei potuta sentirla mai. Una sera stavamo ascoltando il telegiornale ed è arrivata la notizia dell’approvazione di una legge per aggiungere al cognome paterno anche quello materno. Sono saltata su dal divano e ho iniziato a battere le mani per la gioia. Ecco, questo è quello che dovevo fare, ecco la cosa giusta per me. Il giorno dopo sono andata all’anagrafe, ma non ne sapevano niente. C’era da aspettare che arrivassero le indicazioni dal Ministero su come procedere. Ho aspettato diversi mesi e, infine, ce l’ho fatta. Adesso ho un doppio cognome, il primo quello di mamma rappresenta la mia parte affettiva e spirituale e il secondo quello di mio padre rappresenta l’unione dalla quale io sono nata, che come diceva mia mamma è stata seppur per poco una storia d’amore. Questa di oggi, con il mio nuovo doppio cognome, sono io.

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