Libri: Verderame di Michele Mari

Dovuta premessa: il problema è mio perché non sono “preparata strutturalmente” per capire questo scrittore.
A mia parziale giustificazione, aggiungo che non mi arrendo con facilità davanti ad un libro complesso, anzi di norma mi incaponisco di più perché, anche se non mi piace, devo capire.
Ebbene, con Verderame di Michele Mari non mi è riuscito di andare oltre pag. 5.
Ho riletto più volte le suddette pagine, ma alla terza mi sono arresa. E’ incomprensibile, ma questo di per sé potrebbe non esser grave, non l’ho capito o non mi piace me ne faccio una ragione, ma qui c’è di più. L’esercizio della scrittura fatta per annichilire chi legge, mi fa incazzare.
Nell’incipit, prime 10 righe, ho trovato i seguenti termini ” dimidiata, tegumento, boleto, nostrali, protusione ” che ignoravo. Li ho cercati sul vocabolario –  lo faccio sempre quando non conosco il significato di una parola, ovviamente – ma poi mi sono chiesta perché per leggere un romanzo devo patire come se stessi preparando un esame ostico all’università? Ma che senso ha tutto ciò?
Non paga, ho cercato su wikipedia la pagina dello scrittore e, per la prima volta, non ho capito le spiegazioni relative alla forma d’arte che contraddistingue Mari.
Allora mi sono arresa, in questo caso specifico, accetto di essere ignorante e quasi riesco a a gioirne.
Lascio Michele Mari ai suoi amanti. Meglio stare da soli in certi casi.

Di seguito, riporto a titolo di prova l’incipit del libro :

Dimidiata da un colpo preciso di vanga, la lumaca si contorceva ancora un attimo: poi stava. Tutto il vischioso lucore le rimaneva dietro, perché la scissione presentava una superficie asciutta e compatta che il colore viola-marrone assimilava al taglio di una bresaola in miniatura. Dunque della sua bavosa vergogna l’animale si doveva liberare in continuazione per rimanere puro nell’intimo suo, e a questa nobile pena era premio la metamorfosi dell’immonda deiezione in splendida scaglia iridescente.
Corrugato da solchi paralleli e regolari, il tegumento esterno era di un rossiccio che teneva del boleto: ciò che distingueva il nostro mollusco come lumaca rossa ovvero lumaca francese: piú tozza e piú chiara delle nostrali, con una sagoma piú vicina alla balena che al serpente, e corna piú corte e meno facili alla protrusione.$_35

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Una lettura da fare: L’amica geniale di Elena Ferrante.

Il caso ELENA FERRANTE, che con la sua opera “L’amica geniale” ha scalato le classifiche di mezzo mondo, è un caso pressoché unico nel panorama culturale italiano.

Partiamo dall’autrice. Chi è ELENA FERRANTE?
Non lo sappiamo con certezza. Elena Ferrante pubblica il suo primo libro L’amore molesto nel 1992 con la casa editrice E/O e, in quel momento, sceglie l’anonimato. In alcune dichiarazioni successive, sempre transitate dall’editore, sostiene che per lei non era stato necessario apparire con la “faccia”, perché se il libro fosse valso qualcosa si sarebbe affermato ugualmente. E’ così è stato! Da quel primo libro è tratto l’omonimo film di Martone che è arrivato fino al Festival del Cinema di Cannes con protagonista una grandissima Anna Bonaiuti. Dopo L’amore molesto, la Ferrante non pubblica niente per 10 anni. All’anonimato si aggiunge il silenzio.

E poi nel 2002 arriva “Il giorno dell’abbandono”. Sempre con l’editore E/O. Anche da questo libro è tratto un film con protagonista Margherita Buy per la regia di Roberto Faenza, presentato al Festival del Cinema di Venezia.

Nel 2006 viene dato alle stampe La figlia oscura, un libretto piccolo e dei suoi il meno conosciuto, e arriviamo così al 2011 quando è pubblicato il 1° romanzo della serie L’amica Geniale. Seguono, a distanza di anno uno dall’altro, la pubblicazione degli altri 3 romanzi: Storia del nuovo cognome – Storia di chi fugge e di chi resta – Storia della bambina perduta.

Con la pubblicazione della tetralogia scoppia il caso Ferrante.
Chi è questa scrittrice? Perché resta anonima nonostante il successo delle sue opere? E’ un uomo? E’ una donna?
Tutte le illazioni o supposizioni valgono fino a quando IlSOLE24ORE a Ottobre 2016 svolge un’indagine, degna della DEA americana, e seguendo i soldi scopre che la stragrande maggioranza dei guadagni della casa editrice E/O vanno ad una loro storica traduttrice Anita Raja.
Le analogie della vita della Raja sono tali e tante con Elena Ferrante che non può essere che lei. Ma in realtà, alla fine, sapere chi è veramente la Ferrante non è poi molto interessante. Forse sarebbe più interessante comprendere la scelta dell’anonimato. E per fare questo è necessario leggere la Ferrante, quella dei libri.

Nei suoi primi 3 romanzi appaiono in nuce i temi che poi occuperanno lo spazio de L’amica Geniale. Temi difficili quali la voglia di sparire per sempre, l’abbandono del marito, il rapporto madre-figlia si condensano in un tutt’uno nel”L’amica geniale”  ma se ne aggiungono anche altri:L’amicizia tra due bambine. La rivalità tra donne. L’invidia, sottesa, di una verso l’altra e viceversa.L’unione delle forze utile per sopravvivere. La sopraffazione degli uomini, anzi del corpo maschile perché è quello che accade alle giovani Lila e Lenuccia, le protagoniste. La prima, Lila,  soccombe alla violenza di un matrimonio arrivato troppo presto e dal quale troverà la forza di ribellarsi. La seconda, Lenuccia, subisce violenza fisica da un uomo più grande, violenza alla quale non sa resistere e verso la quale prova orrore e piacere allo stesso tempo. E poi ancora la voglia da farcela di queste due ragazze, seppure in maniera diversa.
Lila, il genio creativo, l’intelligenza prodigio che non prosegue  gli studi oltre la 5 elementare ma che da autodidatta riesce ad affermarsi sempre in qualsiasi cosa faccia. Lila che ha la capacità di far fare agli altri ciò che lei vuole. E ci riesce sempre, senza utilizzare sotterfugi, ma con la forza del vero leader, quello che sa tirare fuori da ciascuno il meglio di sé.
A suo svantaggio c’è il fatto che sia una donna e questo nella Napoli degli anni Cinquanta si paga. E forse Lila paga questa sua indipendenza intellettuale da tutti, che la mette al di sopra di tutti, con la perdita più feroce, più crudele che può capitare nella vita ad una madre. Lila perde la propria figlia, la sua prediletta. Perde nel senso letterale del termina, perché la bimba scompare senza lasciare traccia di sé. E questa perdita, è l’unica cosa che riuscirà a sconfiggere Lila. Ma Lila sconfitta non si perde a sua volta, ma scompare. Sparisce per sua volontà, per sempre.

E poi c’è l’altra protagonista che trova invece la sua strada attraverso l’attenzione spasmodica agli studi che le permetterà, nonostante le ristrettezze economiche , di laurearsi alla Normale di Pisa ( per dovere di cronaca, la figlia della Raja ha frequentato la prestigiosa Università toscana) e di contrarre un buon matrimonio e fare buone conoscenze che l’aiuteranno a pubblicare il primo romanzo. Lenuccia o Elena fa la scrittrice nel romanzo e questa sua voglia di primeggiare, di farcela su tutti, ma soprattutto sulla sua amica geniale Lila, accompagnano tutti e quattro i romanzi e forse sono, per quanto mi riguarda, la parte più faticosa da leggere.
E poi ci sono gli altri sentimenti, buoni e cattivi, che animano la storia delle due donne. C’è la rivalità in amore, la rivalità nelle amicizie. C’è sempre uno specchiarsi l’una nell’altra che determinerà la loro vita, soprattutto quella di Lenuccia.
L’altra protagonista Lila è più selvaggia, meno sottoposta o sottomessa sia alla “legge del padre” che determina il microcosmo e il macrocosmo della nostro società e nella quale vivono le due protagoniste. Lei rappresenta la libertà. Libertà che per essere raggiunta non necessita il fuggire da qualche altra parte, come per esempio accade ad Elena che gira l’Italia in lungo e in largo, ma che per determinarsi si manifesta con una grande “cognizione di sé”. A differenza di ELENA, LILA è sempre presente a se stessa e questo ne fa sicuramente il personaggio in assoluto più amato. Almeno per me è stato così.

La storia è molto articolata, si tratta di 4 romanzi che cubano insieme 1200 pagine più o meno, quindi non vi tedio con la spiegazione dei fatti che potete trovare su qualsiasi recensione, ma vorrei provare a dare una chiave di lettura che si basi sul perché dovremmo affrontare questo sforzo di lettura.
Se fossi una donna?
Perché ci sono descritte emozioni e sentimenti che fanno parte di noi, ma che in pubblico non si declamano. E neanche in privato perché siamo così abituate a “essere dentro la parte di essere donne” che non ammettiamo neanche con noi stesse debolezze, odi e meschinità che sono degli esseri umani tutti. Chi di noi ammetterebbe che allevare dei bambini, non solo è faticoso (cosa della quale ci è permesso lamentarci ma non sottrarci), ma è incredibilmente noioso, annullante, avvilente? Che è un tempo che ci porta via le energie migliori proprio quando potremmo finalmente spenderlo meglio e soprattutto per noi stesse? Chi può ammettere il peso e la noia dell’amore fisico senza apparire una poco di buono?  Chi di noi può giustificare una donna che per noia, per asfissia, per voglia di rivalsa lascia due figlie piccole ed il marito e se ne va con un altro uomo, sposato a sua volta, in giro per la Francia? E quando torna questa donna pretende rispetto e non presenta nessun complesso di colpa?
Io sinceramente non sono ancora in grado, adesso, di poter escludere delle critiche ad una donna che fa questo. Al momento vivo ancora immersa in una società che, seppure mi da gli strumenti per poter pensare autonomamente, non mi offre lo spazio per far sì che una donna possa pensare e anteporre la sua affermazione pubblica a quella familiare. Ad oggi le donne “non criticabili” e pubblicamente affermate sono quelle che rinunciano alla famiglia.
Se fossi un uomo?
Se fossi un uomo  dovrei leggere L’Amica geniale perché dentro c’è l’altra metà del mondo e poi ci sono tante figuri maschili comprimari che vale la pena di conoscere. Non tutti sono figure edificanti, ma ce ne sono un paio, tra cui cito ENZO che diventerà il compagno di Lila e che la salverà diverse volte, andando contro tutto e tutti. Per lei, per una donna. Contro la “legge del padre”, contro la legge del rione, contro la legge delle altre donne.  Senza nascondersi, con grande responsabilità e soprattutto senza paura. Queste sono le parole con le quali Enzo porta via Lila dalla casa del marito, prendendo con sé anche il suo bambino e mettendosi contro tutti.

Lui si attardò ancora. Staccò un foglio dal quadernetto della spesa e scrisse qualcosa. Lasciò il foglio sul tavolo.
“Che hai scritto?”
“L’indirizzo di San Giovanni.”
“Perché?”
“Non stiamo giocando a nascondino.”

Penso che Enzo sia la parte migliore di tutto il romanzo. In assoluto. Ed è un romanzo di donne.

E se fossi di altro genere?
Dovrei leggere l’Amica Geniale perché è un’opera dove il mistero, il detto e non detto, la segretezza e l’ambiguità sono parte della vita di ciascuno di noi. Ognuno di noi ha una parte oscura che deve accettare così come la parte “svelata” e visibile a tutti. E sempre Lila, nel romanzo, che aiuta Alfonso a trovare, a ritrovare il vero sé stesso e con il suo sostegno offre a lui la possibilità di provare ad essere felice.

E, per concludere, ritornando all’anonimato , il VELO che la Ferrante ha deciso di calare su di sé come scrittrice, personaggio pubblico, le ha permesso di utilizzare un linguaggio inclemente, senza pudori, diretto ma non volgare, mai giustificativo ( le donne sentono sempre il dovere di giustificarsi anche quando sono nel gusto) per raccontare la vita di due donne nella Napoli degli anni Cinquanta fino ad oggi. E ci è riuscita talmente bene che il suo linguaggio è diventato specchio dove si sono riflesse donne molto diverse tra loro. A me è piaciuto tantissimo ed anche ad Hillary Clinton che è rimasta stregata dai libri di Elena Ferrante definendoli una “Lettura ipnotica”.

L’anonimato è servito perché “certe cose”, anzi le nostre vite, vite di donne oggi le dobbiamo raccontare avendo ancora il volto coperto.

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