La storia di Alessandra Lucaroni e della sua Officina delle Donne, perchè niente può fermare una donna che ha una passione. Evviva le camioniste, le meccaniche, le magazziniere …
La storia di Alessandra Lucaroni e della sua Officina delle Donne, perchè niente può fermare una donna che ha una passione. Evviva le camioniste, le meccaniche, le magazziniere …
La mia famiglia coltiva vigne da cinque generazioni: potevo emigrare al Nord, ho deciso di restare perchè mi sentivo avvinto a queste terre e ai loro frutti. L’ho promesso a mio papà che oggi non c’è più, ma che avverto ancora vicino a me .
Ecco la bellissima storia d’amore e di terra di Nicola:
La paura della preda, il passo veloce e le spalle curve.
Quando ero bambina ho avuto il seno molto presto, già a dieci anni ho dovuto indossare un reggiseno. Non era colpa mia, è capitato così.
Sempre negli stessi anni in televisione traasmettevano Drive in e delle ragazze chiamate “maggiorate” se ricordo bene, andavano in giro con abitini provocanti e praticamente tette al vento. Tra loro spiccava una ragazza piuttosto procace: Carmen Russo. A scuola media iniziò un vero stillicidio nei miei confronti perchè la cantilena che mi seguiva ovunque “carmen russo,carmen russo, carmen russo” era insopportabile. Ovviamente non era colpa mia se ero fatta così, nè se un programma così cretino è andato in onda.
Poi l’adolescenza e le prime uscite senza genitori, parenti e affini, mi hanno fatto presto capire che alla cantilena poteva aggiungersi anche qualcosa altro. Canzonature in strada, qualche palpeggio involontario o meno, qualche tipo di violenza subdola o meno dove si accennava a procacità varie, tra cui la mia.
Per fortuna la corrazza ce l’ho, ma non è così dura da combattere chi si sente in diritto di prevaricare e allora c’era l’altro modo di combattere questa violenza. Violenza che è tutta maschile, va detto. Spesso era anche incosapevole di sè e per questa pure peggio. La violenza e l’ignoranza sono un binomio micidiale per le donne e per chi è un po’ o tanto diverso dall’accezione corente di normalità.
Ma tornando alla DIFESA, il modo era “passo veloce e spalle curve”, cioè nascondersi.
Per fortuna me la sono cavata e più che tutto sono cresciuta, eppure quella sensazione di paura che mi ha accompagnato durante quegli anni non l’ho dimenticata.
Ieri leggendo il bellissimo articolo di Jonatha Bazzi sulla prima pagina di DOMANI (cliccate qui per leggerlo) mi ha riportato alle mente quei momenti. Quando camminavo in paese per i fatti miei e si fermava vicino un’auto e un certo numero di ragazzi si arrocava il diritto di appellarmi in certi modi che niente avevano a che fare con me. Quando non era ben chiaro se quella macchina poteva essere un problema o no, i ragazzi in branco sono imprevedibili. Quando aumentavo i passi e disdegnavo tutti per non dare a vedere che ero spaventata, Poi per fortuna arrivava una strada illuminata o qualche altro pedone e potevo respirare.
Leggendo Jonathan ho provto la stessa paura di allora. Ma da allora sono passati decenni e io vivevo in un piccolo paese del sud. Oggi a Milano, in centro, non mi aspettavo che ancora bisognasse aver coraggio per camminare in strada, non nascondendosi tra due spalle curve come facevo io. Oggi a Milano se sei gay, diverso, e indossi pantaloni colorati è ancora un problema. Ci sono maschi che superato il periodo Drive in e altri del genere oggi si sentono in diritto ancora di offendere e impaurire altre persone.
La necessità di una legge contro l’omotransfobia oggi è più che mai viva e farà bene a tutti, da Milano centro al più piccolo paese italiano. L’avrei invocata anch’io una legge se avessi saputo all’epoca di averne diritto, ma neanche ne ero cosciente. Oggi che lo siamo coscienti e sappiamo quanto la libertà di espressione di ogni essere umano sia fondamentale perchè si possa vivere tutti in pace e bene, direi che dobbiamo urlare insieme.
Il mio urlo è questo.
ALLA RISCOPERTA DELLE AUTRICI DEL NOVECENTO: Alba de Cespedes
1952
Riscrivo, 1952. Anno di stampa di Quaderno proibito di Alba de Cespedes. Questo libro ha 68 anni. Pensavo di addentrarmi in una prosa antica, orpellata, in un libro che affrontava argomenti ormai vecchi, vecchissimi e invece …
Quaderno proibito, con i dovuti accorgimenti al fatto che non c’era la televisione, nè ovviamente internet e compagnia cantando, è un libro di un’attualità sconvolgente.
I sensi di colpa di Valeria, divisa tra famiglia e lavoro; la noia di un matrimonio che trova nell’ignorarsi dei coniugi l’unico motivo per andare avanti; la scelta semirivoluzionaria di una figlia nei confronti della madre; un figlio mashio adorato e incline al mammismo, se non proprio all’immaturità perenne; un tradimento mai consumato e sempre pensato che alla fine non è altro che una trappola come tante altre nella vita di Valeria. Una donna che cerca sè stessa, ma è così pressata dai pesi che si porta addosso ( imposti dalla società o da lei stessa scegliete voi) che alla fine si abbandona all’amarezza, unico sentimento che si concede di provare apertamente.
Attualissimo, ahimè lo scrivo a malincuore, perchè tutti i nodi della vita di Valeria sono ancor oggi i nodi che ogni donna deve affrontare. Ancora. Dopo 70 anni circa forse noi donne meritavamo qualcosa in più, ma spesso, e anche questo lo scrivo a malincuore, siamo ancora le più acerrime nemiche di noi stesse. Come se amarsi e desiderare qualcosa che non sia solo ed esclusivamente il ruolo che la società ci impone fosse un errore. Fosse un peccato.
Leggete Alba de Cespedes perchè è di una modernità sconcertante e perchè con una prosa semplice e diretta descrive i pregiudizi e le complicazioni che la vita impone alle donne e che , spesso, nemmeno percepiamo per quanto siamo abituate a viverle come se fossero normalità.
NOI è il nuovo romanzo di Paolo Di Stefano edito da Bompiani e approdato in libreria a maggio.
Paolo Di Stefano scrive in maniera straordinaria e con raro spessore nel perfetto utilizzo della lingua italiana. Solo per questo già val la pena leggerlo. Ma in NOI c’è molto di più di un libro ben scritto. NOI è la storia della famiglia dell’autore e attraversa tre generazioni di uomini. Forse potremmo partire da questo, una storia di famiglia quasi tutta declinata al maschile. Una scelta che mi ha incuriosito molto, non ricorrente nella narrativa corrente, percorsa più spesso da storie di famiglie al femminile. Partiamo dal nonno Giovanni, un uomo figlio del suo tempo, di quegli anni duri e difficili che hanno caratterizzato il dopoguerra in Sicilia e in tutta Italia.
Il nonno è il patriarca al quale tutto è dovuto, feroce difensore di una sicilianità arcaica e sensuale che non si ferma neanche davanti all’età avanzata.
Sempre per rimanere sulle figure maschili, l’altra centrale del libro è quella di Vannuzzo, figlio di Giovanni. Persona dal carattere contrastante e irrisolto. Conosciamo Vannuzzo ragazzo alla ricerca di una sua strada e Vannuzzo padre rigoroso, moralista e dal carattere iracondo.
Mi sono fermata a riflettere su Vannuzzo, sui suoi scatti d’ira, spesso immotivati o perlomeno incomprensibili, e con molta sofferenza confesso che ho rivisto in lui mio nonno paterno. Personaggio difficile da approcciare, spesso in famiglia cattivo e insensato negli scoppi d’ira, così come all’esterno gioviale e addirittura simpatico con gli estranei. Un controsenso se visto con gli occhi di oggi, eppure così è stato. E come lui, come Vannuzzo, tanti di noi ritroveranno padri, zii, nonni che appena un paio di generazioni fa erano “uomini tutti di un pezzo”, talmente rigidi che spesso dimentichi di sé stessi e di quella briciola d’amore che, molte volte, appiana tante spigolosità. Per fortuna poi si invecchia e con la vecchiaia spesso arriva l’indulgenza.
Protagonista del libro è anche e soprattutto la Sicilia. Una Sicilia inondata di luce ma anche piena di ombre, nobile e rurale allo stesso tempo, come quella che ritroviamo descritta nella grande letteratura italiana.
Ed infine il libro focalizza anche le emigrazioni dalle regioni del Sud Italia verso Milano e verso la Svizzera degli anni ‘50 e ’60. I viaggi di Vannuzzo diventano racconto collettivo per tutti gli italiani che in quegli anni percorsero la nostra penisola verso i vari nord. Oggi è un tema ancora attuale in Italia anche se al contrario, siamo diventati il paese meta di migrazione da altri paesi, in particolare da quelli africani.
L’ultima parte del libro e quella più intimista e commovente. La storia della famiglia si trasforma ed entriamo nelle mura di casa. La voce di Claudio, il fratello bambino dell’autore morto prematuramente di leucemia, diventa più forte e anche noi lettori la possiamo sentire il suo soffiarci sul collo. Questo dialogo con lui che dura tutta una vita è stato forse il modo dell’autore per non abbandonare questo bambino morto così presto.
Si sente il dolore di Paolo bambino, il terrore per la morte del fratellino, le colpe inesistenti che si è attribuito. Avrei voluto chiedere come si può superare un dolore così grande? Poi mi sono fermata perché ho trovato la risposta in una delle ultime immagini del libro.
Leggete NOI di Paolo Di Stefano perché ne vale la pena.
Per chi ha voglia, qui il nostro incontro in diretta con Paolo:
https://www.youtube.com/watch?v=hjw_OYBbZlg
A questo link potete rivedere il nostro incontro.
Vi aspettiamo per parlare di :
FILM – Jojo Rabbit di Taika David Waititi
LIBRO – Il cielo in gabbia di Christine Leunens
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