Incidente in Svizzera.28 vittime, tra le quali 22 bambini.

Le notizie si rincorrono su tutti i telegiornali ed i fotogrammi mostrano sorridenti ragazzini di dodici anni – qualcuno già con un’ombra, appena accennata, di adolescenza sul viso, altri con inconsapevoli volti di bambini segnati da un futuro breve – che giocano con la neve, salutano chi li guarda e compilano un diario virtuale che, di lì a poco, sarà il contenitore delle loro ultime parole. La disgrazia avvenuta in Svizzera, le cui cause devono essere ancora accertate, è di quelle che non dovrebbero mai accadere. Tutte le domande che si presentano sul motivo, sul perché di un simile evento non hanno risposta, almeno non una risposta sensata. E se pure ci fosse una spiegazione “umana”, comprensibile, non sarebbe, di certo, una risposta valida per una mamma ed un papà in attesa del ritorno del loro bambino da una gita. Nessun genitore dovrebbe mai provare il dolore della perdita di un figlio. A nessuno, nemmeno al peggior nemico, si potrebbe augurare un male più grande. E’ un dolore devastante e tragico al quale c’è, col tempo, l’adattamento ma che mai, mai può essere dimenticato.

La perdita del proprio figlio è la paura più grande che un genitore sente, sin da quando, il neonato è in fasce. E per le madri, la paura inizia anche prima, sin dal primo giorno del concepimento. E talmente vasta e profonda la paura di un genitore di fronte alla perdita del proprio figlio che, davanti ad una tale tragedia, il primo pensiero, cattivo e persino vergognoso a ripetersi, che si insinua nella mente è un sospiro di sollievo. Dio, Signore o Fortuna, grazie perché non è il mio bambino quello nel pullman. E’ un pensiero orrendo che sarà toccato ai genitori belgi, in attesa dell’arrivo della lista dei piccoli morti nell’incidente. Pregare perché questa disgrazia tocchi a qualcun altro è contro natura come, appunto, contro natura è la perdita di un figlio da parte di un genitore.  ( G.B.)

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