Parola ad Aversa … da “La Ruota degli Esposti” – 2009

Aria, ho bisogno di aria.

Troppa gente! Troppe auto! Troppi palazzi! Un’esagerazione continua si consuma sotto i miei occhi impotenti.

Li vedo, eccome se li vedo.

Piccoli vermi si arruffano e si accalcano gli uni verso gli altri, ciascuno per trovare il posto più interno, più coperto, meno esposto, chi resta in superficie in balia degli eventi. Ed urlano, fanno baccano, rimbombano da un quartiere all’altro. Sempre più forte.

Di me che sono il nido, il nascondiglio nessuno si cura e pochi hanno memoria. Dei miei tanti figli, scommetterei che solamente una manciata di loro saprebbe raccontare la storia che li ha preceduti. Troppo pochi purtroppo per credere che ritornerà un’epoca di fasti e grandiosità.

Pochi e soli; li sento che borbottano, si lamentano e si disperano chiusi nelle loro case, impauriti dall’avanzare di volgarità ogni giorno più triviali, di violenze e barbarie tanto inaudite quanto gratuite, di ordinaria ignoranza che tappa qualsiasi spiraglio di curiosità, che uccide la voglia di conoscere.

Io, per aiutarli, ho messo a disposizione tutto quanto è nelle mie possibilità.

Aria salubre, negli anni ne hanno beneficiato pazzi e malati ricoverati nell’ospedale psichiatrico e nel manicomio criminale; clima dolce e terre fertili, che hanno dato vita a prodotti unici come la mozzarella di bufala, il vino novello della vite maritata solo per citare quelli più famosi; architettura rara e affascinante, che  mette a confronto, come da nessun altra parte così vicino, l’anima medievale normanna alla struttura spagnola e poi chiese, palazzi, istituzioni, tradizione, usanze….

I miei figli buoni sono troppo pochi; la maggior parte degli aversani ignora tutto ciò. Potrebbero da un’altra parte, sarebbe la stessa cosa.

Certo, sento che si azzuffano continuamente in mio nome, ma si tratta di manifestazione folcloristica, non di vero amore. L’amore prevede il rispetto, prima di ogni cosa, ed io faccio i conti ogni giorno con offese ed oltraggi.

Come potrei chiamare altrimenti l’incuria in cui versa tutto il quartiere normanno?

Ed i palazzi antichi del Borgo che crollano senza che nessuno se ne interessi?

Le insegne dei negozi che distruggono portali ottocenteschi?

Ma quello che mi fa più male sono le interviste.

Appena c’è una telecamera che si agita, scoppia il finimondo.

Rossetti e fard, lacche e gel, cappelli e minigonne spuntano da ogni angolo. Tutti in posa, pronti, per domande insulse alle quali daranno degne risposte.

Nessuno ricorderà di menzionare la gloriosa storia della contea di Aversa, anche se tra di loro spunteranno teste bionde e rossicce che tradiranno geni d’oltralpe; nessuno ricorderà l’importante Real Casa della Santissima Annunziata che per secoli ha accolto trovatelli sottraendoli a morti crudeli, anche se leggendo i cognomi di chi si accalca per apparire per una sfuggente frazione di minuto troveremmo diversi discendenti degli abbandonati, dagli eloquenti cognomi legati alla frutta, alla verdura, al tempo meteorologico. Sì, tanti Peschi, Virzi, Pioggia; nessuno ricorderà le proprie radici. 

Mi denigreranno, aggiungeranno fango al fango.

Diranno che questa terra non offre niente, che non c’è lavoro, che non c’è niente per cui valga la pena viverci.

Ecco il ringraziamento per averli accolti e fatti crescere nel proprio seno, ecco il riconoscimento per avergli regalato una storia ricca ed una cultura variegata.

Presuntuosi ed ignoranti, pensano che sia possibile scindersi dalle proprie radici?

E perché non ammettono che sono loro i primi a far sì che io sia brutta e sporca?

Perché non la smettono di insozzarmi in ogni angolo?

Perché non si curano del patrimonio artistico che dopo secoli è in rovina?

Vorrebbero esser nati in una di quelle città tristi e grigie dove invece dei campanili si vedono le ciminiere?

Ed allora perché non ve ne andate, perché non partite?

Andate via, emigrate, scordatevi di me e non tornate. Sarebbe meglio per tutti, sapete.

Per me, per i pochi che resterebbero. Avere aria pura da respirare, si  potrebbe uscire dalle case senza paura e finalmente apprezzare e godere le mie bellezze. E soprattutto rispettarmi.

E forse potrebbero ritornare quelli che sono partiti per disperazione.

Vorrei rivederli quelli andati via col groppo alla gola nel lasciarmi; quelli che dentro ogni domenica pomeriggio hanno invano cercato la passeggiata della festa; quelli poi che hanno contribuito a far crescere un’altra città e hanno donato amore ed affezione che dovevano essere diretti a me; quelli che non hanno avuto coraggio e non hanno voluto affrontare i vermi nascosti nelle mie pieghe perché la vita umana purtroppo è breve e non la si può sprecare nell’intento di far cambiare gli altri; ed infine quelli che hanno fatto semplicemente bene da un’altra parte ed adesso hanno figli e nipoti che parlano altre lingue.

Vorrei rivedere tutte le persone e dire loro che li considero sempre miei figli, anche se mi hanno abbandonato. 

Vorrei sentire i loro passi ancora una volta, vorrei che tornassero.

{lang: 'it'}
Be Sociable, Share!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *