Del perché dovremmo declinare al femminile le cariche politiche e lavorative: per essere Ministra o Sindaca, avvocata o ingegnera.

Dobbiamo, più che dovremmo! Al momento, le voci sull’argomento sono discordanti. La motivazione più diffusa e immediata è che i termini Ministro, Sindaco, Assessore come pure avvocato o ingegnere, declinati al femminile sono brutti da pronunciare e da ascoltare.
Ciò in parte è vero. Secondo me, però, a motivazioni di carattere strettamente linguistico si affianca anche un robusto pregiudizio culturale. Mantenere nel linguaggio termini legati alla gestione del potere al maschile, seppur la posizione sia occupata da una donna, perpetua l’idea che il potere è degli uomini. Come se la momentanea presenza di una donna, non scalfisse, nei fatti un “posto” che è maschile.
Qualcuno può addurre che trattasi di “questione di lana caprina”, ma credo che dopo un primo approccio semplificativo, abbiamo il dovere di soffermarci sul punto.
Le parole hanno un peso ed in taluni contesti, come quelli giuridici o di potere, non rappresentano solo la “forma” di un discorso ma diventano esse stesse “sostanza”.

Dire Ministra significa riconoscere alla persona che si ha davanti il ruolo che in quel momento occupa. Significa che implicitamente accettiamo, tutti, che una donna non sta occupando per sbaglio una posizione maschile, come per un disguido che sarà sanato appena andrà via.
Con l’utilizzo “formale” del termine femminile, riconosciamo “sostanza al ruolo delle donne” in occupazioni maschili.
E vorrei che fosse chiaro che tutto ciò non è scontato o normale. Tutto questo è un diritto precluso fino a poco tempo fa alle donne e proprio perché un diritto “giovane” va coltivato e sostenuto più e meglio di diritti consolidati.

Per chi volesse approfondire l’argomento, rinvio ad un bellissimo articolo pubblicato sul sito dell’Accademia della Crusca:
http://www.accademiadellacrusca.it/it/tema-del-mese/infermiera-s-ingegnera

 

 

 

 

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