Libro: Accabadora di Michela Murgia

Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo.

Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata.

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Libro inteso, scritto bene nel senso più classico del termine. A tratti semplicemente leggero. E la leggerezza da tradurre a parole è l’esercizio più pesante che ci sia .
Storia di una crescita con lo sfondo una Sardegna ancestrale, nell’immaginario paesino di Soreni. Poche parole animano il paese che tutto sa, senza bisogno di tradurlo a voce.
Un paese ante religione e antico quanto le usanze che preservano gli uomini e le donne.
L’accabadora è una donna, vedova di norma, che accompagna nell’ultimo viaggio le persone “anziane” che si trovano tra la vita e la morte e hanno bisogno di trovare il riposo eterno.
Tutti sanno cosa fa, nessuno lo dice. Ogni società ha chi si occupa di incombenze necessarie, non giudicabili secondo morale comune.
L’unica in paese che non sa è Maria, fill’e anima di Tzia Bonaria, accabadora.
Ma la vita prende il sopravento, Maria cresce e scopre tutto. Fugge a Torino. Poi dopo due anni, una sorta di nostalgia o di riconoscenza, o entrambi la costringono a tornare.
Perché quando sei nata a Soreni, quando quella Sardegna è nel sangue impastata con la carne, puoi essere da un’altra parte, ma non puoi mai andare via.

ESTRATTO:
– Resti qui, vuoi dire…
– Me ne sono andata mai, Andrì? – disse lei voltandosi a guardarlo.

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